Questa locuzione, che ricorre anche nella poesia Sant’Ambrogio (1846) di Giuseppe Giusti («Uno sgomento di lontano esilio, che mi faceva andare in visibilio»), significa “provare una grande gioia” o “un piacere immenso”, “andare in estasi”.
Nel linguaggio familiare significa invece una “grande quantità”, una “moltitudine”.
Essa si diffuse nel corso dell’Ottocento: probabilmente deriva dalla parola latina invisibilium, e specificamente da uno dei primi versi della preghiera cattolica del Credo, in cui si cita Dio come creatore visibilium omnium et invisibilium, «di tutte le cose visibili e invisibili». La preghiera veniva recitata comunemente in lingua latina da strati della popolazione sempre meno consapevoli del significato letterale delle parole nell’idioma antico: è un’ipotesi abbastanza credibile che il termine invisibilium (invece che un genitivo plurale, “delle cose che sono invisibili” nella vita terrena) venisse perciò considerato un sostantivo singolare e che indicasse una realtà trascendente e meravigliosa, in cui si manifesta la potenza creatrice di Dio. Da qui sarebbe dunque sorto in italiano il termine “visibilio“ per indicare una condizione di estasi meravigliosa.