L’inquinamento ambientale da plastica è un fenomeno di portata globale dai numeri strabilianti. Le cause del problema possono essere riassunte in quattro ambiti fondamentali: produzione, uso, inadeguata gestione dei rifiuti, modello di economia lineare.
Produzione: smisurata
Nonostante molti stati e istituzioni, tra cui l’Unione Europea, stiano cercando di correre ai ripari di fronte a questa emergenza globale, si prevedere che nei prossimi 30 anni la produzione di plastica crescerà ancora del 70% restando in linea con una tendenza che ha visto la produzione mondiale aumentare vertiginosamente dagli anni ’60.
E in Italia? Il nostro paese è il maggior produttore di plastica tra gli stati che si affacciano sul Mediterraneo ed è responsabile del 2% della produzione mondiale di manufatti in plastica.
Uso: brevissimo
La produzione di oggetti monouso rappresenta una grossa fetta del giro di affari della plastica. Lo mostra un dato significativo: quasi la metà di tutta la plastica prodotta nel mondo diventa un rifiuto in meno di tre anni. Si tratta soprattutto di plastica che contiene polietilene, presente in prevalenza negli imballaggi e nei prodotti monouso.
Anche in questo caso, l’uso della plastica in Italia è da record: basti pensare che siamo i maggiori consumatori di acqua in bottiglia d’Europa e tra i primi al mondo. Non solo: circa l’80% della plastica prodotta in Italia proviene dall’industria degli imballaggi e ha quindi un ciclo di vita estremamente breve.
Gestione: non adeguata
A livello globale circa il 37% dei rifiuti di plastica non è gestito o è gestito male, ossia non è raccolto, è disperso in natura oppure è abbandonato in discariche abusive, inquinando il suolo, l’acqua dolce e gli oceani.
Cosa succede a un rifiuto plastico che non finisce nella spazzatura? Una cosa è certa: non sparisce nel nulla. La plastica si deteriora rompendosi in parti sempre più piccole, che restano nell’ambiente molto a lungo. Non è ancora chiaro in quanto tempo la plastica si distrugga: una bottiglietta di plastica impiega circa 500 anni a degradarsi, ma non sappiamo se questa degradazione sia completa o se non sia altro che una scomposizione in frammenti più piccoli (macro, micro e nano plastiche).
Mercati secondari: insufficienti
Riciclare la plastica è un affare costoso e complesso: questo ostacola l’affermarsi di un modello di economia circolare nella filiera delle materie plastiche. Non solo: le straordinarie caratteristiche della plastica fanno sì che in tanti ambiti scarseggino le alternative ecologiche per i consumatori. Per diversi motivi, incluso il fatto che in molti paesi gran parte dei rifiuti plastici non possono essere riciclati per questioni di sicurezza, di salute o di contaminazione, la percentuale di plastica che si avvia ad avere una seconda vita è molto bassa. A questo si aggiunge un’altra criticità: la maggior parte dei materiali plastici riciclati sono di qualità inferiore rispetto alla plastica vergine e quindi vengono commercializzati a un prezzo inferiore, a fronte di un alto costo di tutto il processo.
A rischio un ecosistema essenziale alla vita: l’oceano
Nessuno è in grado di dire esattamente quanta plastica raggiunga il mare, ma si stima che, ogni anno, tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica finiscano negli oceani del mondo causando l’80% dell’inquinamento marino. Seguendo questo trend entro il 2050 ci sarà, in peso, più plastica che pesce.
Questi rifiuti per i 4/5 entrano in mare sospinti dal vento o trascinati dagli scarichi urbani e dai fiumi: non importa se viviamo in una città lontana dal mare, la nostra plastica in ogni caso finisce lì.
La presenza della plastica in mare ha impatti su moltissimi organismi, in modi diversi:
- Il maggior rischio per gli abitanti del mare è costituito da alcune tipologie di rifiuti, in particolare lenze, reti abbandonate e altre attrezzature da pesca, molto resistenti, che si attorcigliano attorno agli animali ferendoli gravemente o uccidendoli.
- Molti animali ingeriscono i rifiuti di plastica: uccelli marini (berte e gabbiani), tartarughe marine, delfini, meduse, squali. Questo causa la morte per due ragioni: fame, dovuta al fatto che la plastica riempie lo stomaco della vittima che l’ha ingerita senza apportare nutrienti, e intossicazione. Infatti i materiali plastici trattengono facilmente sostanze patogene (batteri, parassiti) e tossiche.
- Plastiche e microplastiche in mare vengono trasferite e accumulate lungo la catena alimentare, fino ad arrivare all’uomo, con effetti ancora ignoti sulla nostra salute. Come succede? Un gamberetto che si nutre di plancton, insieme ad esso può ingerire frammenti di microplastiche, per esempio 10 “pezzettini di microplastiche”. Un piccolo pesce, che mangia 500 gamberetti, assumerà quindi 5.000 piccoli frammenti di plastica. E così via, fino ad arrivare al vertice della catena alimentare, dove un grande predatore come lo squalo potrà arrivare ad accumulare nel suo stomaco grossi quantitativi di plastica. Quello appena esposto è un esempio di biomagnificazione, ossia un processo per cui l’accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta di concentrazione man mano che si sale al livello trofico successivo.
L’insieme di questi fenomeni minaccia, secondo recenti stime, quasi 700 specie: il 17% di queste sono inserite nelle liste rosse degli animali in pericolo di estinzione, il 92% sono messe in pericolo dalla plastica e il 10% ha ingerito microplastiche.
Per preparare l’attività con gli alunni:
- Cosa dice la scienza: scopri altri materiali per conoscere tutti i segreti della plastica e il suo impatto sull’ambiente.
- Mettiamoci al lavoro: attività didattiche per parlare di plastica e tutela del mare a scuola.
Grafico interattivo: Hannah Ritchie (2018) – “Plastic Pollution”. Published online at OurWorldInData.org. Retrieved from: ‘https://ourworldindata.org/plastic-pollution’ [Online Resource]